martedì, luglio 15, 2008

Saggezza sul Game Design


Qui, su http://www.cgitalia.it/2006/06/13/game-designer-fare-videogiochi/ si legge:

# Marco Andrea Fichera dixit
14 June 2006 alle 11:29 am

Ho l’impressione che il game designer, nella sua mitologica incarnazione di “colui che idea i giochi”, sia una figura nel nostro paese ambita,dai ragazzi che tecnicamente o artisticamente non saprebbero ricoprire ruoli produttivi specifici.

Non ho le qualità e le basi per fare il grafico o per programmare, allora faccio “il creativo videoludico”, tanto -come più volte già scritto in queste pagine- pensiamo tutti di avere le idee migliori e di essere dei piccoli Leonardo.

Molti di questi aspiranti Will Wright, fedeli al motto “chi sa fa – chi non sa ne scrive” finiscono per ritagliarsi un angolino come recensori. Scrivere di videogames in Italia è quasi un secondo sport nazionale, anzi ricoprire qualsiasi ruolo nel settore è molto molto fico.

Con la conseguenza che, soprattutto in contesti con soglie d’ingresso molto basse come l’editoria online, centinaia di ragazzetti o ragazzetti già cresciuti scrivono recensioni, progettano siti, realizzano soluzioni ( o meglio copiano/traducono quelle inglesi per poi tramutare il “durissimo” frutto del “loro” lavoro in contenuti a pagamento di siti in lingua italica ) e svolgono decine di compiti agratisse.

Un esercito di manodopera a costo zero che ha la conseguenza di far crollare gli stipendi medi di chi vorrebbe fare queste cose e camparci. Entusiastici, esaltati ed esaltanti sono, al contrario dei loro colleghi che svolgono la professione di critico cinematografico, spesso propensi a sfogare le proprie frustrazioni da regista mancato confezionando sonore stroncature, sempre pronti a tessere le lodi di questo o quel capolavoro.

Ma più che questa brancaleonica truppa io temo quelli che nel nostro paese “ci sono riusciti”. Se preferisci puoi sentirti tirato in ballo, il discorso è molto più ampio e basato su esperienze extracgitaliane.

Si parla si strani personaggi che mettendo in piedi gruppuncoli amatriciani o mungendo le casse delle sedi di qualche multinazionale hanno coronato il proprio sogno di pubblicare un gioco. O che a volte non hanno neanche concretamente finito un gioco, ma lo hanno semplicemente pensato ed abbozzato.

Prodotti di modesta levatura, quasi mai distribuiti oltre confine, stroncati anche dal più entusiasta della massa degli entusiastici critici. Nella magia dei curriculum tali esperienze diventano successi, prodotti innovativi.

I grafici si autopromuovono sul campo art director, i level designer game designer e i programmatori digievolvono in lead senior 3d tech engine pixel shader stopesce engenier. E sotto l’etichetta di esperti di settore, game designer, teorici dell’interazione ludica, si aggirano per il belpaese tuttologi del game.

Ci scrivono libri, spesso facendo taglia-incolla dai testi dei vedi guru d’oltreoceano, ci fanno corsi universitari, parauniversitari, regionali con finanziamento della Comunità Europea o privati con retta a molti zero. Ho l’impressione che negli ultimi anni il vero business in Italia non sia fare giochi, cosa che pochi hanno realizzato e che pochissimi hanno realizzato con prodotti degni di nota, ma scrivere, parlare ed insegnare a fare i giochi.

Una situazione paradossale, un po’ come se chi ha fatto voto di castità e celibato si mettesse a parlare di famiglia e tenesse corsi prematimoniali per insegnare a fare gli sposini !

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Ora che altro dire se non: "Mai una cosa è stata più saggia di questa! MAI dico io!"
Grazie
ciao
MM

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